Avere ragione non basta. Si potrebbe forse riassumere così il passaggio che deve affrontare ora l’opposizione al TAV del Brennero in Trentino.
Dopo quattro anni di controinformazione puntuale e capillare, con decine di serate pubbliche nei vari paesi direttamente toccati dal progetto, l’esistenza e la portata dell’opera sono conosciute.
Intendiamoci: gli incontri continuano e c’è ancora richiesta di analizzare i tracciati e sottolinearne i vari impatti sul territorio. Ma il silenzio orchestrato per anni attorno alla più grande e devastante opera che abbia mai interessato le nostre valli è stato spezzato. Uno degli scopi dell’ultimo corteo a Trento (19 aprile 2007) era proprio quello.
Ora la situazione è sensibilmente diversa. I progettisti sono dovuti uscire allo scoperto e sono stati, nei limiti delle nostre possibilità, rintuzzati.
Se per anni lo sforzo informativo è stato sostenuto principalmente dallo spazio aperto NO Inceneritore NO TAV ora sono nati altri gruppi, territorialmente radicati (come il comitato di Marco, a sud di Rovereto, e quello dei Sorni e Lavis, a nord di Trento).
Nelle serate si comincia a parlare di come fermare l’opera.
Il nemico peggiore – ancor più del ben noto comitato d’affari del cemento e del tondino – è la rassegnazione: “Tant a la fim i lo fa” (“Tanto alla fine lo fanno”).
Gli stessi propagandisti della Provincia di Trento non sono riusciti a vendere la bontà del TAV: hanno detto semplicemente che l’Europa ha già deciso, punto e basta. Tutt’al più si possono discutere i dettagli. (Si può far notare di sfuggita che di fronte alla sentenza della Corte europea in merito al crocifisso Dellai non ha affermato esattamente la stessa cosa: ciò che dice l’Europa, evidentemente, vale solo se corrisponde ai propri interessi...).
L’“argomento” del “non possiamo farci niente” – diretto ad ottenere un effetto psicologico ben preciso – non va sottovalutato, soprattutto in Trentino, dove la rete clientelare è fitta e difficile da sradicare.
Eppure la risposta NO TAV nei paesi è decisamente più incoraggiante che in Sudtirolo. La gente comincia ad organizzarsi.
Il movimento, potenzialmente popolare, è ancora fragile, non sufficientemente immunizzato rispetto a criminalizzazioni mediatiche e profferte politiche di compensazione. Tuttavia comincia a far paura (come si è affrettato Pacher a rispondere alla Coldiretti, la quale ha preso finalmente una posizione contro la nuova ferrovia del Brennero!).
Insomma, stiamo crescendo. La manifestazione del 21 novembre è stata solo rinviata.
Qualcuno dei comitati sta pensando, per questa primavera, di portare le famiglie in pullman in Mugello e in Valsusa a toccare con mano le due alternative: il disastro e la resistenza.
Organizzarsi dal basso, paese per paese, ci sembra il solo modo per fermare quest’opera funesta. E per respingere il tentativo di etichettare e ridurre la protesta (“sono quelli del tal partito, sono gli anarchici o i no global”). Nell’autonomia di ciascuno e di tutti, si tratta di condividere un obiettivo comune: difendere la terra, l’acqua, la dignità.
Questo dipende da ognuno di noi.